Se dico “emozioni”, cosa (pensi) senti?

Le emozioni, queste sconosciute, sono quasi delle estranee nella nostra cultura, nei nostri sistemi educativi. Questa carenza di programmi specifici, che mettono l’attenzione al riconoscimento delle emozioni in sè stessi, negli altri e come reagire ad esse, è uno dei motivi per cui quasi quotidianamente purtroppo sentiamo notizie di questo genere:

  • A 19 anni uccide l’ex incinta la nasconde e va a scuola (link)
  • Mamma uccide i figli di 2 e 5 anni, poi tenta il suicidio (link)
  • Ragazzo si suicida dopo essere stato lasciato dalla fidanzata (link)
  • 15enne violentata da un gruppo di 5 ragazzi, 4 minorenni (link)

Dove possiamo ricercare le origini della mancanza di attenzione a questo tema? Per qualcuno uno dei responsabili potrebbe essere il filosofo francese del XVII secolo Cartesio. La certezza cui era giunto si può riassumere in: “Cogito, ergo sum”, ovvero “Penso, dunque sono”, rinforzando così l’idea del dualismo tra mente e corpo, tra pensiero e sentimento. Cartesio era infatti convinto che seppure conciliabili mente e corpo fossero separate e ha messo l’accento sulla mente pensante e razionale a dispetto del corpo e delle sue emozioni.

Ma questo cosa c’entra? Le idee di Cartesio hanno messo le basi per il moderno pensiero filosofico e queste concezioni hanno fatto breccia in tutti i rami delle scienze, nella vita sociale e anche nelle varie istituzioni scolastiche. Infatti ancora oggi viene data molta più importanza nei vari percorsi formativi scolastici alle competenze logiche e matematiche rispetto alle dinamiche emotive e i risultati sono sotto gli occhi di tutti. Mi capita di frequente che alla domanda posta nel titolo, ovvero “cosa senti?” o “come ti senti?” Le risposte son quasi sempre generali, del tipo “bene”, “normale”, e quando si indaga un po’ di più sul sentire vengono fuori delle risposte sulle proprie azioni: “sto parlando con te…” o sui propri pensieri: “penso a cosa dirai dopo.”, ma difficilmente viene detto qualcosa riguardante le proprie emozioni. Questo indica una scarsa consapevolezza delle proprie emozioni. Prevale il “Penso, dunque sono” di Cartesio.

Provate anche voi in questo momento a fare un veloce esperimento:

  • rispondete alla domanda “come ti senti in questo momento?
  • poi rispondete a questa: “quanto fa 7×5?
  • a quale domanda è stato più facile rispondere?

Cosa possiamo fare? Occorre, oggi più che mai, sviluppare quella che Daniel Goleman ha definito Intelligenza Emotiva. Essa consiste di diverse capacità che possono essere “allenate”. Il primo passo è quello della consapevolezza, ovvero riconoscere le emozioni che proviamo e in che intensità, cercare delle strategie per gestirle nel modo più efficace a seconda degli obiettivi, poi riconoscerle negli altri (empatia) e infine imparare a trattare con efficacia le interazioni, ma soprattutto i conflitti con gli altri.


Conosci te stesso
(da “Intelligenza Emotiva” di Goleman)

Un samurai bellicoso sfidò un maestro Zen chiedendogli di spiegare i concetti di paradiso e inferno. Il monaco, però, replicò con disprezzo: “Non sei che un rozzo villano; non posso perdere il mio tempo con gente come te!”. Sentendosi attaccato nel suo stesso onore, il samurai si infuriò e sguainata la spada gridò: “Potrei ucciderti per la tua impertinenza”. “Ecco” replicò con calma il monaco “questo è l’inferno”. Riconoscendo che il maestro diceva la verità sulla collera che lo aveva invaso, il samurai, colpito, si calmò, ringuainò la spada e si inchinò, ringraziano il monaco per la lezione. “Ecco” disse allora il maestro Zen “questo è il paradiso”.

Nel nostro percorso di crescita dobbiamo tenere presente alcuni aspetti teorici fondamentali:

Le emozioni sono inevitabili. Si possono vivere e si possono imparare a controllare. Quindi soprattutto gli educatori dovranno evitare nel modo più assoluto di usare frasi del tipo:

  • ”Non avere paura!”
  • ”Non essere triste…”
  • ”Non arrabbiarti!!!”

Il ruolo di base delle emozioni è di assistere l’organismo nella conservazione della vita. Infatti anche quelle che vengono considerate più negative fungono da campanello di allarme sull’attività del nostro corpo. Ad esempio:

  • La paura fa in modo che il sangue si concentri al centro del nostro corpo per proteggere gli organi vitali e trascurare le parti meno importanti come le estremità delle dita.
  • Il disgusto causa un sollevamento del labbro superiore e un arricciamento del naso, che sono probabilmente dei tentativi primordiali di difendersi da un odore nocivo o di sputare un cibo velenoso.

Inoltre le emozioni sono dei vissuti corporei, cioè attraverso l’allenamento possiamo sentire cosa succede al nostro corpo quando proviamo le diverse emozioni, ad esempio:

  • con la vergogna il sangue affluisce nella testa e sentiamo scaldarsi in modo particolare le guance.
  • con la rabbia il sangue affluisce nelle mani per rendere più facile prepararsi a sferrare un pugno. Si usa anche un espressione verbale “prudere le mani dalla rabbia”.

In modo particolare quest’ultimo aspetto è stato trascurato, pensando in molti casi che si potesse modificare agendo esclusivamente sui pensieri. Le emozioni risiedono nel corpo.

“…troppe persone vivono esclusivamente nella propria testa, con pochissima coscienza di ciò che accade al di sotto del loro collo. Non si rendono conto di trattenere il respiro nè sono in grado di dire se il loro respiro sia superficiale o profondo. La maggior parte delle persone non percepisce le proprie gambe e i propri piedi. Sanno che ci sono, ma li usano soltanto come supporti meccanici. La percezione non è una funzione meccanica. Un’automobile può andare benissimo, ma non percepisce niente. La percezione è una funzione del sentire.” Alexander Lowen

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